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venerdì 20 gennaio 2012

Il poeta del giorno: Bella Achmadulina

Bella Achmadulina, una delle voci più interessanti della poetica sovietica post-staliniana, nacque a Mosca da padre tartaro e madre italiana – il suo nome completo era infatti Isabella – il 10 aprile 1937. Le sue prime poesie le pubblicò da studentessa sulla rivista Mestrostroevets. Nel 1959 venne espulsa dall’Istituo di Letteratura Maksim Gorkij per aver sostenuto Boris Pasternak. Riammessa, si laureò nel 1960. Nel 1954 aveva sposato in prime nozze Evgenij Evtusenko, un altro dei grandi esponenti di quella generazione brillante e polemica uscita dal disgelo dell’URSS dopo la fine del dittatore georgiano. Sposò poi lo scrittore Yuri Nagibin, il regista Eldar Kuliev e infine l’architetto Boris Messerer. Bella Achmadulina si rivelò nel 1962 con la raccolta “La corda”, cui seguirono “Lezioni di musica” (1969), “Tenerezza”, (1971), “Tormenta” (1977) e “Mistero” (1983). Le sue liriche e i suoi poemi, espressi con virtuosismo stilistico e impianto metrico tradizionale, si incentrano in particolare sul problema dell’integrazione dell’artista nella società contemporanea, al quale si intrecciano volentieri temi personali. È morta a 73 anni nella sua casa di Peredelkino, a Mosca, il 29 novembre 2010.


RACCONTO SULLA PIOGGIA
Tutto il giorno la pioggia non mi lascia.
"Vattene!", io le dico rozzamente;
fa quattro passi indietro, poi, devota,
mesta mi segue come una bambina.
Come un'ala, la Pioggia alla mia schiena
s'è incollata. "Vergognati!", le dico;
"l'ortolano t'invoca lacrimando,
corri dai fiori! Che hai trovato in me?"
Intanto in giro regna un'afa cupa;
dimenticando ogni altra cosa al mondo,
la Pioggia è qui con me, mentre d'intorno
mi danzan i bambini, quasi fossi
la macchina per innaffiare i prati.
M'infilo in un caffè, dentro una nicchia.
Alla finestra, come un accattone, 
mi aspetta. Ed all'uscita mi castiga
con uno schiaffo umido sul viso;
ma subito la Pioggia audace e triste
mi lascia sulle labbra un bacio fresco,
che ha il profumo del cucciolo bagnato.
Son buffa col mio fradicio scialletto
legato al collo, mentre sulla spalla
siede la Pioggia come una bertuccia,
e la città si turba; con un dito
mi solletica un lobo. Tutto è secco.
Io sola son bagnata fino alle ossa.


IL QUADERNO NUOVO
Davanti al foglio bianco
resto confusa e timida
Così davanti alla porta del tempio
si ferma il pellegrino
Così davanti al viso di una vergine
abbassa gli occhi il dongiovanni.
Guardo avidamente e con amore
come uno scolaro, il quaderno nuovo
per tormentarlo con la penna
scarabocchiando parole senza senso.
Volto la pagina
facendo scempio.
La mia scrittura
si diverte a dare scandalo.
Addentrandomi nel folto del quaderno
come nel folto di un bosco, io mi perdo
e porto da sola tra i fogli luminosi
la mia trionfante pena.

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