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sabato 21 gennaio 2012

TERNI CITY ROCKERS: 15a puntata


«Le opere che l’autore                                                                                
ha creato con gioia,
sono quasi sempre le migliori,
come i figli dell’amore,
sono sempre i più belli»
   (Nicholas De Chamfort)

OTTAVO

   I Warhead stavano bruciando le tappe. Sarà stato il fatto che i componenti del gruppo erano molto affiatati, sarà stato il fatto che avevano tante cose da dire, sarà stato il fatto che tutto procedeva bene nella vita di tutti, fatto sta che nel giro di un mesetto, avevano già pronti una quindicina di pezzi, tra originali e cover, e decisero di presentare tutto questo lavoro ad una ristretta (mica poi tanto) cerchia di amici.
   Fausto e Fabio, che erano i firmatari di tutti i pezzi, chiesero a Roby se voleva diventare una specie di public relations, cosa che lui accettò con l’entusiasmo di un ragazzino.
   Così i tre cominciarono a girare per la città e i dintorni, alla ricerca di un luogo adeguato dove poter esibirsi, ma per quei locali che solitamente erano adibiti per questo scopo (pochissimi, pochissimi), l’affitto giornaliero costava un occhio della testa.
   Allora le ricerche si spostarono verso locali privati e, finalmente, trovarono un posto adatto alle loro esigenze: un grande garage dalle parti di Vallecaprina, che il padrone aveva adibito ad uso e consumo di feste, pranzi eccetera.
   Il prezzo era abbastanza abbordabile (150.000 lire per un pomeriggio) a patto di lasciare il locale, alla fine, come lo si era trovato, visto che il genere di persone che sarebbero accorse ad assistere all’evento.
   Nel frattempo Roby e Fausto diventavano sempre più amici. Stavano molto spesso insieme, quando l’impegno del gruppo lo permetteva, anche se Fausto non si separava mai (o era forse il contrario visto il seguito della storia…) da Mary, il suo alter ego al femminile.
   E fu proprio allora che Fausto cominciò a prestare al suo amico libri di heroic fantasy (l’unico libro che aveva letto, anzi, che gli fu letto da Paola nei pomeriggi sangeminesi insieme a Raffaella e Mauro, era stato “Lo hobbit”), libri che parlavano di eroici guerrieri, di re perversi, di ammalianti principesse, di maghi e stregoni, di negromanti votati al male, di elfi e di gnomi, di nani ed animali fantastici, di luoghi incantati, di magia.
E fu così che entrarono a far parte del bagaglio culturale del nostro boy, insieme a “Ufo in Italia”, “Audrey Rose”, “Poesie rock di Patti Smith”, “Poesie inedite di Prévèrt”, “Siddharta” e “Peter Camenzind” di Hesse, “Porci con le ali”, “L’esorcista” di Blatty, libri come “Tre cuori e tre leoni” e “La spada spezzata” di Poul Anderson, “Il drago e il george” di Gordon Dickson, “Il castello d’acciaio” di Pratt e De Camp, “Il castello di Lord Valentine” di Silverberg, “Il mondo di Durdane”, “I principi demoni” e “Lyonesse” di Jack Vance, e i due libri della saga di “Elric di Melniboné” di Moorcock.

   Così tra la musica, i Warhead e la narrativa fantasy, Roby non aveva più tempo neanche per pisciare (e questo era ancora niente!). Se ci mettete anche che in quei giorni aveva un concorso alla Provincia di Terni per n° 3 impiegati, potete capire in quale stato d’animo si trovasse. E invece no! Quelle situazioni lo impegnavano 24 su 24 e anche più, ma in questo modo lo spronavano a migliorarsi sempre di più, sia intellettualmente che psicologicamente: l’affare Raffaella era finalmente dimenticato del tutto, ma ci vorranno altri 8 lunghi anni per fare sì che Roby trovasse una ragazza degna di essere definita tale, ma questa è un’altra storia che, forse, ma non ne ho la certezza assoluta, vi racconterò verso la fine di questa specie di “obbrobrio-cultural-cazzata-machicazzomel’hafattofare!” che dovrebbe chiamarsi libro di memorie (oh… che bell’eufemismo!!!).
   Ricapitolando, eravamo rimasti al punto in cui i tre amici (Roby, Fausto e Fabio), erano riusciti a trovare una sala adatta per il primo, storico concerto dei Warhead, e dopo lunghe ed estenuanti riunioni, si decise che quest’evento avrebbe avuto luogo il giorno 19 dicembre, in modo anche da stravolgere le feste natalizie a chi ancora non era del tutto conscio di ciò a cui stava andando incontro.
   Prima dello storico primo concerto dei Warhead, ci fu un’altra data importantissima: 14 novembre, giorno del concerto dei Mötorhead al Tenda a Strisce all’Eur di Roma.
   Visto che, ultimamente i rapporti tra gli Strangers e Fabrizio “Manetta” non erano proprio paradisiaci, si decise di non andare col pullman ma con le auto, che poi quelle in grado di affrontare tutti quei chilometri da Terni a Roma (circa duecentoventi tra andata e ritorno) erano pochissime, quasi nessuna, ma, ben o male, si riuscì ad arrivare a strappabocconi all’entrata del palatenda in orario per assistere all’inaudita violenza del trio Lemmy-Eddie Fast Clark-Philty Animal Taylor e del loro metal rock’n’roll da disastro nucleare.
   Il 19 dicembre si avvicinava e i Warhead cominciarono a fare una lista su chi invitare e chi no: i primi due nomi da scartare furono quelli di Carlo e quello di Fabrizio, ma furono gli unici, perché di gente ce n’era tanta, quella domenica pomeriggio. A parte i soliti noti e i nuovi adepti come i fratelli Mario e Roberto Latini (ma quanti cazzo de Roberti ce stanno in questa specie di calderone, eh?), un altro Roberto ( e mò questo come lo chiamamo?) di cognome Cubinelli da poco rientrato in Italia dalla natia Australia, Silvano, un grosso amante della frangia più spiccatamente dark del movimento metal (leggi Black Sabbath, Mercyful Fate ma anche Hawkwind), l’ennesimo Alessandro (io non ce la faccio più! A questo che nome je mettemo? Boh, so ‘n cazzo io… ma chi me l’ha fatto fa!!!! Va bbé, giusto perché sì tu lo chiameremo “Alex il direttore” perché… mò ve lo dico senza bisogno de grassetto…) un giovanissimo metallaro dalla provincia di Viterbo (aveva si e no 16 anni) ma che viveva e andava a scuola a Terni e che, una ventina d’anni dopo, è diventato un giornalista metal molto famoso (da cui “Alex il direttore”), c’era tutto il gotha della musica alternativa ternana.
   Insieme a David, Roberto, Piero, Bruno e Giorgio dei Synthesis, c’erano anche Stefano Micheli e Carlo Malatesta, con rispettive consorti, dei My Mine, forse il gruppo ternano più famoso della storia, noto soprattutto per un 45 giri “Ipnotico Tango” che fu per qualche tempo la sigla di Discoring, il programma televisivo musicale più visto dai giovani italioti (licenza poetica voluta per contrazione tra le parole “italiani” e “idioti”), e poi altri due Alex, Staro e Micozzi, due famosi dj della conca ternana, e tutta una lunga serie di persone che Roby conosceva a malapena di vista.

E allora fiato alle trombe Turchetti! Si dia inizio a questo massacro a 2000 watt di masturbazione sonora ad altissimo voltaggio e ad altissima percentuale di pura adrenalina!


M. A. AGCA WAS INNOCENT è un pezzo sull’attentatore del Papa, visto come pedina in un gioco troppo grande: “È venuto da lontano e qui da noi ha trovato il paradiso e un esercito di sciocchi fanatici che credono ciecamente alle sue parole…”

REVENGE è un pezzo dal testo molto anarchico e si rivolge principalmente alla classe politica: “che ci ha ingannato, ci ha illuso, ci ha ucciso con le sue false promesse…”

HOLIDAY IN VARSAVIA è contro il comunismo più becero e di puro stampo sovietico: “Quest’estate volevamo andare in California a fare il surf, ma non sarebbe stato eccitante come una vacanza a Varsavia…”

DON’T VEX THE DEAD è un pezzo in stile Black Sabbath, molto cupo ed ossessivo: “Vi avevamo avvertito, non infastidite i morti, adesso il loro sguardo vi fa paura…”

STRANGERS è il manifesto della nuova gioventù ternana: “Siamo stranieri in questa fottuta città, non siamo bravi ragazzi, non siamo cittadini modello…”

FUCKLAND ISLANDS è contro la guerra delle Falkland tra inglesi e argentini: “Gli argentini hanno fottuto le tue isole, manda i tuoi soldati a vendicarti, vecchia baldracca inglese…”

THE GREAT INVASION OF A ROCK’N’ROLL LEGION è la rivincita del rock sul perbenismo e la monopolizzazione dei vari sanremi: “Il vostro colosso dai piedi d’argilla che chiamate società, ha mietuto le sue vittime per l’ultima volta…”

OI GENERATION è la magica fusione dei due principali movimento che caratterizzano la musica dei Warhead, il punk e l’heavy metal…

WARHEAD è la cosa più dannatamente violenta che si era mia sentita fino ad allora, una corsa a 300 all’ora sull’autostrada della normalità…

   E questi erano i pezzi originali; poi, presentarono qualche cover, tipo “…Mötorhead, remeber me, I’m a Mötorhead… all right!...” del trio inglese Lemmy-Animal-Fast, la classica “Johnny Be Goode” di Chuck Berry, “White riot” dei Clash, “Rockaway beach” dei Ramones e “…I don’t what I want, but I know what I get it…” ovvero “Anarchy in the U. K.” del gruppo forse più vicino come concezione e modo di essere ai cinque pischelli ternani, e cioè la grande truffa del rock’n’roll, i Sex Pistols (ma i Warhead non erano una truffa studiata a tavolino), e per finire un obbrobrioso coro scemo e completamente ubriaco sulle note della sigla dell’Eurovisione.
   Il tutto durò poco più di un’ora, ma, credetemi, fu ciò che più si avvicinava ad una catastrofe nucleare. Le chitarre distortissime di Fausto e Fabio che s’inseguivano in riffs elementari e velocissimi, il basso di Bob che creava un tappeto ritmico da olocausto, la batteria di Lucio e di Daniele che dettava i tempi con il suo rullare a velocità impossibile, e la voce di Fabio, in puro Joe Strummer’s style, a scandire i vari slogan contro il potere. Molti dei presenti rimasero sconvolti, ma era questo l’intento del gruppo. Finalmente qualcuno che aveva il coraggio di rompere gli schemi, e non solo quelli, ai perbenisti, a quei fottuti leccapiedi che vivono nella merda fino al collo, agli snob, ai figli di papà con la puzza sotto il naso, a quelli che seguono la moda, a quelli che seguono la corrente con la punta del naso attaccata alla nuca di chi li precede!

”noi vestiamo di pelle, borchie e catene,
viviamo di sesso, birra e rock’n’roll,
non siamo come voi vorreste che fossimo”

   Lunedì 20 dicembre, Roby riceve finalmente notizie da Lory dopo oltre sette mesi, ma più che una lettera, era una partecipazione di matrimonio tra lei e Gigi, per il 23 prossimo in una chiesa di Catania.

Dalle lettere di Roby a Lory – 21 dicembre 1982 – ore 2,20

«È scesa la notte sulla mia città ma il sonno tarda ad arrivare. Nella mia mente un solo pensiero: Lory. Stamattina mi è arrivata la tua partecipazione di matrimonio e mi è preso un colpo. La mia Lory si sposa! In un paio d’ore mi sono riletto tutte le tue lettere. Dal lontano 23 settembre 1975, quante cose sono successe! Tutti i tuoi amori strani da adolescente… e ora ti sposi! Non so se essere contento o no. Ma si, sono felice, perché almeno tu sei felice, e non c’è persona al mondo che se lo meriti di più. Sto ricordando tutti i vari momenti che hanno contraddistinto questo nostro rapporto. L’ho detto e ripetuto mille volte che con te c’è un rapporto quasi spirituale, che non si può spiegare a parole. Ricordo come fosse ieri il 18 novembre del ’79, quando sono venuto a Caserta per conoscerti di persona. Quella grigia giornata di autunno, e chi se la scorda più! Lo squallido teatro della stazione casertana, quella biondina che sta telefonando nella cabina ed io appoggiato al muro che guardo distrattamente la vetrina dell’edicola. Quella biondina che si avvicina, ed io che penso che non può essere lei. Quella biondina che mi dice: «Sei arrivato con questo treno?» ed io che rispondo di si e lei: «Allora sei il mio Roby!» Mi sono sentito la persona più felice di questo mondo. E il pomeriggio a casa di Pino, seduti sul letto e tu che mi prendi la mano, mi accarezzi, mi baci mille volte! Mille volte ripeti il mio nome e mi dici che sono bello (?). Mi dici tante cose bellissime che adesso mi rimbalzano nel cervello come palline da ping-pong. E quel groppo alla gola, la sera, quando ho ripreso il treno per Terni… e adesso ti sposi! E poi quei cinque giorni nel giugno dell’anno dopo, quando mancava un mese alla partenza per il militare, quei cinque giorni passati con te ed il tuo mondo. E quella volta ad Avella, nell’aprile dell’81, l’ultima volta che ci siamo visti. Tu che vieni a trovarmi in quella scuola del paesino irpino dove facevo il servizio d’ordine per i referendum radicali. Tu che mi dici: «Non avrei mai immaginato di vederti in divisa!». Questi sette anni passati a scriverci lettere, a raccontarci i nostri segreti di adolescenti. Ma adesso sei cresciuta veramente. Giovedì ti sposi con Gigi. Sono veramente contento, e vabbé che c’è di mezzo un bambino (o una bambina), ma il tuo amore così vero e spontaneo, fatto di piccole cose, mi ha talmente preso, che non posso sentirmi malinconico in questo momento, anche se continuo a ripetermi che, in un certo senso, sono un po’ geloso. Come quella volta quando mi hai scritto che avevi fatto l’amore per la prima volta con un tuo amico. Lory, finalmente potrai vivere con il tuo Gigi, ed io non posso farti che i miei più grandi auguri, perché tu possa vivere la più bella delle vite con lui e con il piccolo che arriverà tra qualche mese. Vorrei dirlo a Raffaella che stai per sposarti, ma non so proprio come fare per farglielo sapere, magari glielo faccio dire da Paola. Ti voglio bene Lory, ora più che mai, ora che te ne andrai, forse, dalla mia vita. Spero di no, spero che ancora mi scriverai qualche volta, tra una poppata e l’altra, spero che ti ricorderai di questo ragazzaccio ora che hai il tuo Gigi per crescere ancora. Io spero di averti aiutata, spero di essere stato un buon amico per te. Io non ti dimenticherò mai, di questo puoi esserne certa. Spero vivamente che un giorno ci si possa rivedere (succederà anche più di una volta), così potrò conoscere finalmente Gigi e anche l’erede. Ma una cosa solo spero: che non sia finita qui! Ciao Lory, non voglio che questo sia un malinconico addio, deve essere un arrivederci a presto. Ho scritto queste righe, mentre qualche piccola goccia di gioia, è scesa sul mio viso, stanco del sonno che sta arrivando. Ti mando ancora i miei auguri, e mi dispiace non poter venire al matrimonio, ma Catania sta un bel pezzo giù e non credo che mia madre mi dia il permesso di fare tutti questi chilometri, anche se sono maggiorenne e vaccinato.
Ti voglio bene!

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